Il testo base di questo articolo si trova nell’epistola
di Giacomo 2,10-26. Egli parlò nella particolare
situazione del cristianesimo giudaico. Molti cristiani
giudei erano stati abituati dal giudaismo storico a
un’adesione mentale e culturale alla religione dei padri
e a un’ubbidienza legata più al seguire precetti e
pratiche della tradizione che a una relazione personale
con Dio e a una fede viva e impegnata mediante la
pratica dell’amore. Perciò Giacomo mette dinanzi a tali
Giudei cristiani il quadro di una fede viva e di una
fede morta. Tale verifica doveva costituire anche una
prova del nove se si era veramente nella fede legittima
e salvifica. Tutto ciò ha molto da dire anche oggi a un
cristianesimo quale cultura e tradizione.
1.
CONTRAPPOSIZIONE FRA FEDE MORTA E FEDE VIVA
(Gcm 2,10-20)
1.1. LA FEDE MORTA TRASCINA NEL GIUDIZIO (Gcm
2,10-13)
■ La ragione del giudizio: Nel sistema
giudaico tradizionale l’infrazione di qualsiasi parte
della legge rendeva l’individuo trasgressore e colpevole
dinanzi a Dio. La legge era vista come una catena, che
veniva spezzata quando un anello si rompeva (Gcm 2,11).
Sotto l’economia della legge, l’uomo era un
peccatore colpevole, dinanzi a un Dio infinitamente
santo, sia che infrangesse la legge dell’amore (Gcm
2,8s), sia che infrangesse altri comandamenti. Se
quell’uomo non aveva una fede salvifica in Cristo, era
condannato dalla legge (Gcm 2,12). La fede morta non
poteva salvarlo.
■ La ragione della misericordia (Gcm 2,12s):
Nel nuovo patto, l’uomo che ha una fede salvifica, non è
sotto la legge mosaica della condanna, ma sotto la
«legge di libertà» (Gcm 2,12), ossia sotto l’economia
della grazia e della misericordia in Cristo. Egli deve
perciò parlare e agire di conseguenza, ossia come
dovendo essere giudicato secondo il principio della
grazia (Gcm 2,12). Ciò significa che come credente,
sebbene non sarà mai condannato come peccatore (Gv 5,24;
Rm 8,1), essendo salvato per grazia mediante la fede (Ef
2,8), sarà giudicato per le sue opere quanto al premio
(cfr. 1 Cor 3,11-15; 9,27; 2 Cor 5,10). Poiché Dio gli
ha mostrato misericordia, egli deve essere
misericordioso nei suoi rapporti con gli altri (Gcm
2,13).
1.2. LA FEDE MORTA È INUTILE (Gcm 2,14-20)
■ Affermazione e illustrazione del principio
(Gcm 2,14-16): «A che serve», chiede Giacomo,
«se qualcuno afferma di possedere fede ma non
possiede opere? Può tale fede salvarlo?» (Gcm 2,14).
Qui viene contestata la tendenza giudaica (trasferita
poi nel cristianesimo) di sostituire alla santità
pratica una conoscenza della legge senza vita, come se
la giustificazione dinanzi a Dio si potesse ottenere
attraverso una particolare «gnosi» (Rm 2,3.13-23).
L’inutilità della fede morta è illustrata dal caso d’un
fratello bisognoso (Gcm 2,15s). Un tale credente invece,
pur avendo il dovere morale di prestare assistenza a
questo fratello, non solo non l’aiuta ma ipocritamente
gli dice di saziarsi e vestirsi.
■ L’inseparabilità della fede dalle opere (Gcm
2,17-20): La fede viene dichiarata morta quando è
separata dalle opere (Gcm 2,17). Giacomo dimostrò qui
che la fede e le opera sono inseparabili. Dal messaggio
del NT risulta quanto segue.
■ Le opere della legge non salvano (Gal 2,16; Ef
2,8s; Rm 3,20ss.28).
■ La salvezza è per grazia mediante la fede nella
persona e nell’opera di Gesù Cristo (At 13,38s; Tt
3,4-8).
■ È immancabile che la grazia, una volta
realizzata, produca quelle opere quale frutto che
esaltano non la persona che li compie, ma la potenza
della grazia (Ef 2,8ss).
Per cui non sono le opere rendono fanno l’uomo giusto,
ma è l’uomo rigenerato e giustificato che fa le opere (1
Cor 16,10; Gal 6,10). Quindi, una fede senza le opere è
pura adesione mentale e culturale. Una tale fede non
produce nessuna nuova vita, ma è simile a quella dei
demoni, che credono e tremano. Questo tipo di fede non
produce alcuna virtù o opera di ravvedimento (Gcm
2,19s).
2. LA FEDE VIVA
DIMOSTRA LA GIUSTIZIA PERSONALE
(Gcm 2,21-25):
Giacomo presentò due esempi di fede: Abramo (Gcm
2,21-24) e Rahab, la meretrice (Gcm 2,25).
■ Il caso d’Abramo: Egli asserì Abramo fu
giustificato per opere, quando offrì in sacrificio
Isacco (Gcm 2,21; Gn 22,9-12). Che Giacomo non stesse
contraddicendo Paolo, il quale dichiarò che Abramo fu
giustificato per fede e non per opere (Rm 4,2ss), è
evidente dalle seguenti considerazioni.
■ Giacomo usò il termine «giustificato» nel senso
di «dimostrato effettivamente giusto davanti agli
uomini», mentre Paolo usò il termine nel senso di
«essere dichiarato giusto dinnanzi a Dio». Giacomo parlò
in riferimento all’uomo, Paolo in riferimento a Dio.
■ Giacomo fornì il correttivo riguardo a una verità
abusata, Paolo presentò la verità stessa. A dire il
vero, gli abusi erano due. Paolo rispose ai giudaizzanti
che pretendevano di essere giustificati mediante
l’ubbidienza alla legge mosaica: dinanzi a Dio proprio
la legge mostra la profondità del peccato e
l’impossibilità di essere giustificati mediante
l’ubbidienza a essa. Giacomo rispose a coloro che
aderivano alla fede mentalmente e culturalmente e li
avvertì: una fede che non dimostra un mutamento di vita
nella pratica è morta.
■ L’epistola di Giacomo era diretta in origine ai
cristiani giudei, i quali erano tentati di sostituire
l’esperienza d’una santità di vita con una conoscenza
mentale della legge. Le epistole di Paolo furono dirette
perlopiù a Gentili perduti nel peccato che non erano in
grado d’offrire a Dio alcuna giustizia legale, oppure
prendevano posizione contro quei gruppi giudaizzanti che
pretendevano l’ubbidienza dei Gentili alla legge mosaica
e alle tradizioni giudaiche.
■ La giustificazione per fede che produce le opere
di Giacomo, non contraddiceva la giustificazione per
fede di Paolo, la cui manifestazione è la fede operante
mediante l’amore o il frutto dello Spirito. Abramo
godette della benedizione della giustificazione per fede
(Gn 15,6) molto prima d’essere giustificato per opere
con l’offerta d’Isacco (Gn 22,1-12). All’interno del
patto la fase di grazia e quella amministrativa
(ubbidienza della fede) sono due parti della stessa
medaglia.
■ Il caso di Rahab (Gcm 2,25): La sua fede
fu dimostrata agli uomini quando nascose le spie, le
rimandò indietro per un’altra via e appese la cordicella
rossa alla sua porta, quale segno di riconoscimento (Gs
2,1-21; Eb 11,31).
3. ALCUNE
CONCLUSIONI
(Gcm 2,26)
■ Una fede che puzza di morte: Nel verso 26
viene espresso un’illustrazione e un’analogia piene di
significato: come il corpo è senza vita quando lo
spirito se ne diparte alla morte, così la fede separata
dalle opere è morta (cfr. vv. 17-20). Una tale fede è
senza vita e inutile, non ha mai sperimentato la
rigenerazione divina e, perciò, non può assicurare la
giustificazione dinanzi a Dio né dimostrare qualcosa
dinanzi agli uomini.
■ Fare sul serio: Il Signore darà grazia a
ognuno che ha un cuore disposto ad andare a Lui per
ricevere la sua giustificazione mediante il sangue di
Cristo e la rigenerazione mediante lo Spirito Santo.
Allora tale credente potrà operare quelle opere,
preparate da Dio e che tanti aspettano di vedere! Sarà
una fede che fa fatti, che produce frutti e che è
operante mediante l’amore.
► URL: http://lucebiblica.altervista.org/Articoli/Fede_morta_viva_Mds.htm
09-07-2007; Aggiornamento: 07-06-2015
|