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L’UNZIONE FRA TRADIZIONE E BIBBIA

 

 di Giovambattista Mele - Nicola Martella

 

1. La tesi (Giovambattista Mele)

2. Osservazioni e obiezioni (Nicola Martella)

 

 

1.  LA TESI (Giovambattista Mele): Quand’ero piccolo (mi piace usare questa frase sapete, mi ricorda tante cose), sentivo parlare che al tale gli avevano somministrato «l’olio santo», cioè gli avevano dato l’ultimo saluto (l’estrema unzione).

     Da quel che si è sempre capito, una persona quando riceveva questa «unzione», era già pronta per morire. E si dice che tramite quest’unzione s’accresce al malato la grazia santificante, cancella i peccati piccoli e grossi, l’aiuta a sopportare il male, a resistere alle tentazioni e a morire santamente. In parole povere, chi riceve quest’unzione è salvato. [N.d.R.: Non proprio tanto «salvato», visto che vengono celebrate le messe di suffragio, per così creare indulgenze e meriti al defunto per permettergli un cammino più celere (quindi meno burocratico) dal cosiddetto Purgatorio al Paradiso!]

     Nel Medioevo l’estrema unzione si sviluppò in pratiche superstiziose. Allora si riteneva che essa facesse passare direttamente l’anima nell’eternità, di modo che se una persona agonizzante ritornava alla vita, dopo aver ricevuto questo «sacramento», era considerata come già morta, per cui non doveva più mangiare carne, camminava a piedi nudi e… non doveva più vivere in seno alla famiglia. Fortunatamente questa superstizione oggi non vige più!

     A quei tempi era concesso solo i ricchi d’averla; forse perché l’olio per i poveri costava troppo! Anzi quest’unzione era destinata per i ricchi, al povero era negate completamente.

     Nella Bibbia, in Marco 6,13 si legge che i discepoli «cacciavano molti demoni e ungevano con olio molti malati e li guarivano»; dell’unzione si legge anche in Giacomo 5,14-15.

     Quest’ultimo testo, come si vede, non parla che d’una unzione in vista della guarigione. Una traduzione di Giacomo recita: «Qualcuno in mezzo a voi è ammalato? Chiami gli anziani della Chiesa, e preghino su lui, ungendolo con olio nel nome del Signore; e la preghiera della fede conserverà sano e salvo il malato, e il Signore lo farà rialzare».

     In questo passo è chiaro che si parla della preghiera fraterna nell’afflizione e particolarmente in caso di malattia. Il paziente è sotto il beneficio delle preghiere della chiesa. L’accento è messo sulla preghiera della fede che salverà il malato e non sull’unzione dell’olio.

     Nella Sacra Scrittura noi troviamo molti esempi d’unzione d’olio. Questa era un segno o un simbolo. Così l’unzione dei sacerdoti era a quel tempo un segno del loro ministero.

     Il versetto 15 di Giacomo 5 ci parla di perdono dei peccati se questa malattia è la conseguenza d’una caduta. Non si deve considerare la guarigione fisica come un effetto del tutto secondario e accidentale. L’apostolo Giacomo intravede un mezzo per guarire, e non un espediente per ben morire.

     Perciò fratelli e amici, fate che il Signore vi ungi con il suo amore, la sua grazia e vi salvi e vi conservi mediante lo Spirito Santo, il quale dirige la sua vera Chiesa che rimane all’obbedienza dell’Evangelo, Parola di verità e di Dio.

 

 

2.  OSSERVAZIONI E OBIEZIONI (Nicola Martella): Mi limiterò solo ad alcuni aspetti soltanto, ossia a quelli che riguardano l’unzione in Marco 6,13 e in Giacomo 5,14ss. Da un confronto superficiale si potrebbe arrivare alla conclusione che si trattasse assolutamente della stessa cosa. Sebbene non vogliamo escludere a priori la coincidenza fra i due brani, faccio notare le seguenti differenze, lasciando poi al lettore l’onere di trarre le conclusioni.

     ■ Marco 6,13: Si afferma che i discepoli «ungevano con olio molti malati e li guarivano». In greco il testo recita: kaì ēleifon elaiō pollous arrōstous kaì etherápeuon, quindi letteralmente «e unsero d’olio molti deboli e [li] guarirono». Il termine arrōstos «debole, infermo» ricorre già nel v. 5, in cui viene detto che Gesù «impose le mani a pochi deboli e li guarì».

     ■ Confronto con Giacomo 5,14ss: Si noti che in questo brano non ricorre arrōstos «debole, infermo nel senso di malfermo», ma il verbo astheneō «essere debole, infermo nel senso di malfermo» (v. 14) e il participio kámnonta «spossato» (v. 15 kámnō «essere stanco, moribondo»). Si noti pure che in Mc 6,5.13 il verbo è therapeuō «curare, guarire» ed è attribuito agli «operatori». In Gcm 5,16 ricorre invece iáomai «guarire» nel senso di «rimettersi, riacquistare la salute»; «affinché voi guariate» intende qui un processo, ed è attribuito ai «pazienti».

     Quanto al fine dell’azione, in Mc 6,5.13 essa è la cura o la guarigione, in Gcm 5,14s è il ristabilimento e il perdono dei peccati. È aperta anche la possibilità che, mentre Mc 6,5.13 parla della guarigione allora attuale dei malati (verbi al passato), Gcm 5,14s intenda il perdono dei peccati in vista del trapasso e la promessa del ristabilimento da parte del Signore alla risurrezione, come potrebbe suggerire il verbo eghéirō (al futuro) nell’espressione «e il Signore lo farà rialzare» nel senso lo ridesterà, risusciterà.

     Per l’approfondimento rimandiamo al seguente tema di approfondimento: L’unzione degli infermi. Siano poi i lettori ad approfondire e a trarre le conclusioni.

 

Per alcuni aspetti dell’unzione si veda in Nicola Martella, Dizionario delle medicine alternative, Malattia e guarigione 2 (Punto°A°Croce, Roma 2003), l’articolo: «Cura pastorale: 4. L’unzione», p. 118; cfr. qui anche «Imposizioni della mani e Bibbia», pp. 247-250.

     Per la trattazione dei problemi pastorali si veda Nicola Martella, Entrare nella breccia (Punto°A°Croce, Roma 1996).

 

► URL: http://lucebiblica.altervista.org/Articoli/Unzione_tradizione_BB_EnB.htm

09-07-2007; Aggiornamento: 07-06-2015

 

 

«Bada a te stesso e all’insegnamento; persevera in queste cose, perché, facendo così, salverai te stesso e quelli che ti ascoltano» (1 Timoteo 4,16)

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